Dentro un bar e tra le piume di una pernice
3 Novembre 2019Primavera in montagna
9 Aprile 2023
Verso la fine dell’inverno, sulle nostre montagne, i più appassionati di natura e di fauna incominciano a mettere un po’in disparte gli sci e a spolverare i binocoli.
Sta per presentarsi quel momento dell’anno che in tanti aspettano con ansia e che darà il via a quella stravagante attività (probabilmente poco nota alla maggiorparte della gente ma, per i cercatori, cosa seria e molto sentita), che è la cerca dei palchi caduchi.
Tutti possono andare per boschi e trovare , occasionalmente, i palchi dei cervi, ma sono pochi quelli che vi riescono conoscendo esattamente ciò che stanno facendo.
Infatti, in questa fase dell’anno, i cervi si ritrovano con le riserve di grasso ai minimi termini e, spesso ancora impossibilitati dalle condizioni ambientali e meteorologiche a reperire foraggio fresco, hanno la necessità di muoversi il meno possibile e quindi di non essere disturbati.
Come dicevo, gli appassionati, i cosìddetti “cornari” questo lo sanno molto bene ed è per questo che lavorano parecchio, direi con metodo e dedizione al limite del maniacale, con il cannocchiale.
Si tratta, inizialmente, di individuare i quartieri di svernamento scelti dai cervi. Cercare di riconoscere i vari soggetti, (l’occhio esperto, allenato da diverse stagioni di osservazioni, sa riconoscere un maschio da un altro, comprende se quei palchi appartengono ad un soggetto osservato durante il bramito oppure ad un cervo del quale si sono già raccolti i palchi nelle stagioni precedenti), trovare le aree di pastura e magari le rimesse per l’abbeveraggio e poi, senza mai forzare, attendere il giorno in cui nella crescente luminosità di un’alba o tra gli ultimi raggi che precederanno l’ennesimo tramonto, si mostri finalmente il cervo “scornato.”
È in quel momento che desiderio e speranza di poter continuare la serie di palchi di un determinato cervo, di poter stringere tra le mani quanto di più sfuggente e selvaggio potesse esservi nel bosco fino a pochi momenti prima, prendono forma. Un irrefrenabile impulso, che accomuna tutti i cornari e che non si può descrivere a chi non ha mai provato a cimentarsi con una passione così profondamente legata all’ambiente montano, ai ritmi stagionali della natura e al comportamento animale, dà finalmente inizio ai giochi.
I primi fortunati appassionati, entrano nel bosco: ne violano, quasi in punta di piedi, il suolo pregno dell’odore dei cervi, di erba e foglie secche e, tra folate di aria che a tratti sanno ancora di neve e a tratti addolciscono le narici con i profumi della prima erba verde, ripercorrono trottoi e draje sino ai covacci con in mente ben proiettata l’immagine di ciò che sanno di poter trovare.
A marzo la montagna non è ancora proprio fuori dall’inverno e, anche quella stagione, nonostante una serie di bellissime giornate di sole, attorno al dodici, si mise a nevicare. Le condizioni meteorologiche resero impossibile al cercatore di palchi, di seguire i movimenti del grosso cervo che quando riapparve, due giorni più tardi, coricato al sole, in un gias (covaccio) ai piedi di un pino, si presentava spogliato del vecchio trofeo.
“Lo sapevo che finiva così! Quando si scorna il più bello? Quando non puoi seguirlo! Adesso, devo solo sperare che abbia continuato a muoversi lungo le sue solite piste e che i palchi siano per lì!”
Dal racconto "La Mangiatoia" - Cuor di camoscio