QUEBRANTAHUESOS (Gypaetus barbatus)

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Gipeto in volo sopra a Casses Blanche
Quebrantahuesos”, in spagnolo significa “spacca ossa”. È proprio il nome comune che viene assegnato al gipeto dagli spagnoli e rispetto a quello italiano, che è “avvoltoio degli agnelli”, è decisamente più appropriato.
Forse la presenza più massiccia in passato, nella penisola iberica, ha consentito agli spagnoli di osservare meglio il comportamento alimentare di questo rapace solito a seguire i grifoni. Verificando che il gipeto, a differenza dei grifoni che si nutrono dei tessuti molli presenti sulle carcasse di animali ritrovati già morti (loro unica fonte di cibo poiché generalmente non predano animali vivi), dirige la sua attenzione unicamente sulle ossa di carcasse spolpate, rilevarono un comportamento apparentemente bizzarro.
Quando le ossa risultavano troppo grandi da ingerire l’avvoltoio le trasportava in alto nel cielo, trattenendole con gli artigli, per poi lasciarle precipitare su terreni duri, come rocce e pietraie, al fine di romperle per ridurne le dimensioni così da ingollarle più agevolmente e per poter accedere al midollo interno… mai più nome fu tanto azzeccato.
Gipeto in sorvolo sulla Flessia
Ruggero Casse - Storie - Gipeto in sorvolo sulla Chabriere
Come dicevo, probabilmente in Italia le osservazioni, unicamente sulla catena alpina, dovevano essere state molto più difficoltose e approssimative attribuendo così (forse a causa delle considerevoli dimensioni dell’animale) a un “avvoltoio necrofago” le doti predatorie di un’aquila specializzata soprattutto nella cattura di agnelli.

Personalmente, a tal proposito ho un ricordo che risale alla mia infanzia (poteva essere il 1978), legato all’incontro tra mio padre con un suo ex commilitone valdostano, che a riguardo del cosiddetto “avvoltoio degli agnelli” raccontò di un caso passato, occorso e narrato nella sua vallata, in cui questo enorme uccello, ben più grande di un’aquila, aveva portato via un infante sotto agli occhi dei genitori.
L’innocente, tutto fasciato e infagottato come si faceva un tempo con i neonati, adagiato ai margini di un prato presso il quale i genitori erano intenzionati nei lavori connessi alla fienagione, venne ghermito dai potenti artigli del gipeto e trasportato lontano, forse verso il nido. Incapaci i due genitori di fermare la rapina, tentate altresì dagli uomini più determinati intrepide scalate per raggiungere il nido, dovettero arrendersi all’impossibilità di riavere sano e salvo il loro bambino, finendo per vivere il resto della loro esistenza corrosi dal rimorso per averlo esposto alle grinfie di una Natura tradizionalmente aspra e matrigna.

Quella storia, o leggenda chissà, mi restò impressa mettendomi addosso la curiosità e la speranza di poter un giorno osservare uno di questi avvoltoi degli agnelli.
Ruggero Casse - Storie - Gipeto sulla Flessia
Ruggero Casse - Storie - Novembre
Sarà un caso, ma proprio nel 1978, ebbe inizio il progetto di reintroduzione del gipeto (estinto agli inizi del 1900) sulle alpi. Per rendere comprensibile la difficoltà che dovettero affrontare i ricercatori dirò solo che per giungere ai primi rilasci si dovettero attendere ben nove anni. I primi riproduttori adulti, pronti a individuare una vallata dalle sufficienti disponibilità alimentari e dotata di pareti utili alla nidificazione, vennero liberati nel 1986 in Austria, nel 1987 in Alta Savoia, in Svizzera nel 1991 e in Italia nel 1994. Dal 1986 al 2012 vennero rilasciati ben 190 individui.

Quassù in alta Valle di Susa credo che le prime osservazioni risalgano alla fine degli anni novanta, con un crescendo di avvistamenti e di occasioni per tutti gli appassionati di bird watching e per i fotografi naturalisti. Fin dalle prime osservazioni dirette, la vallata più frequentata dai gipeti è stata quella di Rochemolles, sopra a Bardonecchia, probabilmente grazie alla vicinanza con le vallate della Savoia (già sedi di rilasci e nelle quali sono oggi presenti ben tre coppie nidificanti) e alla considerevole presenza di camosci e stambecchi.
Successivamente la presenza si è estesa a tutta la Valle di Susa e negli ultimi anni è possibile osservare il volo del gipeto con una buona frequenza anche a ridosso dei versanti di Salbertrand ed Exilles. Se il grifone ha bisogno di importanti correnti termiche per spingersi con sicurezza in ampie perlustrazione, il gipeto vola con qualsiasi tempo e basta una leggerissima brezza perché si possa librare in volo e percorrere considerevoli distanze veleggiando senza il minimo sforzo.
Ruggero Casse - Storie - Gipeto in volo
Ho avuto modo di osservarlo comparire e scomparire come un fantasma immateriale in volo nella nebbia a ridosso delle cime dei larici delle Fontanette; stupefatto ho assistito assieme a Damiano, e ad un gruppo di camosci e stambecchi intenti a pascolare sulle pendici della Chabriere, all’acrobatico volo messo in atto da un adulto per domare le raffiche di vento e tormenta cha sferzavano il versante della Flessia; in più occasioni mi è capitato di osservarlo volare scortato da un aquila. Ma l’osservazione più caratteristica l’ho probabilmente vissuta un pomeriggio tardo autunnale di qualche anno fa grazie ad un corvo.
Avevo atteso una intera mattinata, assieme a mia moglie e mia figlia, di scorgere la sagoma del gipeto nel vallone delle Grange, e senza aver ottenuto alcun risultato, scoraggiati e colti dai primi brividi di freddo trasportati da alcune “grasse” nebbie, ci decidemmo a scendere delusi. Qualche centinaio di metri più a valle, presso un pianoro al quale il sole pareva essersi aggrappato nell’estrema intenzione di suscitare in noi l’illusione di poter ancora assistere a qualcosa di speciale, sentii il gracchiare di un corvo in avvicinamento.
Ruggero Casse - Storie - Gipeto e Aquila
Questi ci sorvolò diretto ai piedi di una parete. Incuriosito da quella presenza, lo seguii attraverso i binocoli, scoprendo che andava a posarsi su di un ramo che faceva capolino tra le rocce accumulatesi ai piedi della parete.
Osservando meglio, mi accorsi che quel ramo altro non era che il corno di uno stambecco e che il corvo stava banchettando con ciò che restava di una carcassa. Deciso a riprendere qualche immagine della scena provai a ridurre le distanze ma, nonostante le cautele messe in atto, mi accorsi che il corvo si allontanava dalla pietraia gracchiando indispettito.
“Mi avrà notato!” pensai.
Mentre seguivo la traiettoria di allontanamento del corvo, intercettai casualmente un’altra sagoma provenire in senso contrario. Era più in alto, ma non era certo un corvo; forse un’aquila? Era questa ad aver infastidito il corvo? Incuriosito portai ancora i binocoli agli occhi e rintracciai il soggetto, riconoscendo immediatamente che si trattava di un gipeto e che sembrava proprio intenzionato a visitare la carcassa. Per un attimo pensai alla fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto, ma l’euforia passò in fretta.
Rapida come i due o tre sorvoli che il gipeto compì sulla mia testa, per reputare certamente inopportuno banchettare in mia presenza, l’occasione di fotografarlo nella fase di alimentazione sfumò silenziosa assieme al suo volo. Quando desolato, tornai da mia moglie e da mia figlia, le trovai raggianti per aver potuto finalmente osservare la sagoma del grosso gipeto (la loro prima volta) occupato a sorvolare me e una carcassa di stambecco.
Ruggero Casse - Storie - Carcassa di Stambecco
Ruggero Casse - Storie - Gipeti